Mi è capitato più di una volta che qualcuno mi chiedesse:
“Con le tue competenze, ma perché non insegni acustica?”
La domanda è legittima. E ogni volta mi ritrovo a rispondere che non sono un accademico, né uno studioso nel senso più tradizionale del termine. Sono, piuttosto, un tecnico che ha scelto la via della pratica.
Perché, a mio avviso, nell’acustica, come in molti altri campi, o la insegni o la fai. Entrambe le strade meritano rispetto, ma sono percorsi diversi, che richiedono tempo, dedizione e approcci opposti.
Lavorare sul campo significa affrontare problemi reali, spesso imprevedibili: rumori che cambiano come il vento, strutture che risuonano come strumenti musicali, vibrazioni e suoni che si trasmettono attraverso materiali che, sulla carta, dovevano avere altre prestazioni.
È in quei momenti che capisci quanto la teoria, pur essenziale, non basti.
Serve l’occhio, l’orecchio, ma soprattutto l’esperienza di chi ha imparato a “sentire” il suono prima ancora di misurarlo.
Certo, i libri sono fondamentali. Ho studiato, come molti, sul “Manuale di acustica applicata” di Spagnuolo, un testo di riferimento per chiunque operi in questo settore. Ma leggere non basta: il passo successivo, e decisivo, è mettere in pratica ciò che hai appreso.
Solo quando applichi quelle formule in un cantiere, in un’aula scolastica rumorosa o in una sala macchine di un impianto industriale, capisci davvero cosa significano.
Ed è lì che la teoria prende vita.
In più di trent’anni di lavoro, ho avuto la fortuna di attraversare quasi tutti i campi dell’acustica: da quella edilizia a quella ambientale, da quella industriale a quella infrastrutturale.
Ogni progetto è diverso dal precedente: una volta si tratta di valutare la propagazione del rumore di una strada, un’altra di progettare il comfort acustico di un auditorium, un’altra ancora di redigere una mappatura acustica per un intero comune.
Ed è proprio questa varietà che rende il mio lavoro appassionante: l’acustica è ovunque, basta saperla ascoltare.
Chi lavora in questo settore sa bene che la tecnologia cambia rapidamente.
Oggi disponiamo di strumenti di misura avanzati, software di simulazione potentissimi, sensori digitali, intelligenza artificiale che elabora dati in tempo reale.
Ma l’esperienza, quella vera, non è automatizzabile.
Non puoi “insegnarla” a una macchina, né impararla in un corso di due giorni.
Si costruisce lentamente, tra una relazione e un sopralluogo, tra un errore e la sua correzione.
Per questo ho scelto la pratica.
Non per mancanza di curiosità o di voglia di insegnare, ma perché credo che la mia lezione migliore sia il lavoro stesso: i risultati, i progetti, gli anni di ascolto e di prove.
E perché, in fondo, ogni intervento acustico è una piccola lezione di equilibrio: tra teoria e realtà, tra calcolo e percezione, tra ciò che si legge e ciò che si sente.
– Marco Parisi
